Skip to main content

Ente di Formazione Accreditato MIM ai sensi della direttiva 170/16

LA VITA CHE VORREI

Scritto da Marco Ferrini

La vita che vorrei non è un’utopia. È il frutto di scelte precise che sono la conseguenza dei desideri e delle motivazioni profonde. La scienza dello Yoga insegna che ciò che desideriamo si realizza. Il punto è: cosa desideriamo?

IL DESIDERIO
Una verifica accurata dei desideri è il primo passo per capire se stiamo mettendo le basi per una vita felice. La genesi dell’azione parte infatti proprio dal desiderio: ciò che desideriamo diventa pensiero, il pensiero diventa azione, le azioni ripetute diventano abitudini che strutturano il nostro carattere. E il carattere di una persona diventa il suo destino. Lo pensava già il filosofo Eraclito di Efeso, uno dei maggiori pensatori presocratici, oltre 2.500 anni fa: “Il carattere è il daimon dell’uomo”, cioè è il suo demone, il suo destino.

Dunque, attenzione ai desideri. Se il principale ingrediente è avariato non possiamo pretendere che la pietanza riesca gradevole. Se desideriamo la “donna d’altri” o la “roba d’altri” – e le nostre energie prima o poi verranno dirette in quella direzione – è facile che lo otterremo. Ma quelle conquiste, dopo un fugace attimo di piacere, si riveleranno un frutto avvelenato. L’effetto sarà un aumento di quella insoddisfazione, di quella mancanza di felicità, che ci aveva spinto a cercare la felicità dove non era.

I desideri vanno dunque bonificati e armonizzati con il Dharma, l’ordine cosmo-etico che sorregge la creazione. Ci troviamo immersi in un universo che ha leggi precise. Se il nostro principale desiderio è fare il bene degli altri e offrire loro il meglio, è inevitabile che il meglio ritorni indietro anche a noi.

LA VOLONTA'
La volontà è la funzione che ci permette di attivare l’energia necessaria per realizzare i nostri desideri. Anch’essa va calibrata. La “volontà di potenza” può anche farci raggiungere velocemente i risultati che ci eravamo prefissi ma la felicità attesa non arriverà. Serve mettere in campo una volontà forte e saggia che tenga sempre conto anche del modo con cui si raggiungono gli obiettivi. Felicità non fa rima con affermazione cieca di sé. Come esseri umani non siamo felici quando raggiungiamo degli obiettivi in una corsa solitaria; lo siamo invece quando condividiamo con gli altri esperienze, conoscenze, beni materiali, sentimenti. Attenzione dunque a costruirci una volontà forte ma allo stesso tempo saggia, cioè diretta a soddisfare desideri di bene.

GLI OBBIETTIVI
Fama, potere, sesso, soldi: per molti è questa la “vita che vorrei”. E quando hanno conquistato uno status sociale che soddisfi tutto ciò provano nausea. Dov’è quella felicità che cercavano in questi obiettivi? Prima erano infelici perché non li avevano e ora sono infelici perché li hanno. I beni materiali, la posizione sociale, il successo non sono da demonizzare. Vanno però messi a servizio di un bene superiore, di un’ideale autentico. La vita umana è breve e scompare tanto velocemente quanto una goccia di rugiada sul petalo del loto appena sorge il sole. Accumulare ricchezze spirituali – ad esempio le qualità dell’anima, un buon carattere, la capacità di stare bene con gli altri – significa investire su un patrimonio che rimarrà nostro vita dopo vita. Non serve chiudersi in un monastero o in una grotta sull’Himalaya: la ricchezza spirituale la si accumula mentre si è intenti a vivere la quotidianità delle nostre vite con tutte le sfide che presenta.

STRUMENTI DI VIAGGIO
Per percorrere con soddisfazione questo viaggio che è la vita, è bene controllare di avere nello zaino alcuni strumenti essenziali.

- Disciplina
“La vita che vorrei” non è una chimera se riusciamo a mettere in campo una disciplina. Corpo e mente vanno entrambi disciplinati per portarli sotto la guida del nostro sé superiore. Ognuno si scelga la disciplina che ritiene più utile e qualcuno che lo aiuti a verificarsi: un supervisore, un precettore, un maestro spirituale… E poi mantenga questa sadhana con costanza e impegno.

- Contentezza
Traduce il termine sanscrito santosha, ed è una delle regole che dà Patanjali nei suoi Yoga Sutra. Significa quella contezza dell’anima che deriva dall’accontentarsi. Accontentarsi di fare bene il proprio dovere, godendo del piacere che l’azione di per sé dispensa. L’accontentarsi ci libera dal “pretendere”, che al contrario è una trappola che ci mette nelle mani degli altri, in balia del loro concedere o non concedere. Se la nostra felicità dipende dal volere altrui, dal suo elargire o non elargire, siamo condannati ad una vita grama. Impariamo la contentezza aprendoci alla fiducia che la vita ci porta tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

- Il giardino della memoria
Ognuno di noi, nel proprio cuore, dovrebbe coltivare un giardino di fiori profumati: i ricordi belli, le esperienze positive fatte insieme agli altri. Ogni volta che viviamo un momento piacevole, un’esperienza significativa, ogni volta che proviamo un sentimento nobile, piantiamolo nel nostro giardino. Le aiuole fiorite di questo parco che ognuno può costruire a suo piacimento vanno innaffiate ogni giorno, senò i fiori seccano e muoiono. Questi fiori li abbiamo lì a disposizione: ogni giorno li possiamo contemplare, nutrire, difendere: essi richiamano alla coscienza le emozioni più belle, i sentimenti più nobili che abbiamo provato, i gesti autentici, le parole sincere che abbiamo scambiato. E quando accade qualche fatto spiacevole con una persona, andiamo a recuperare quel fiore che faccia immediatamente riaffiorare un vissuto positivo con lei. Non rimaniamo ancorati all’ultima impressione negativa quando nel giardino della memoria è tutto un fiorire di bei ricordi. “Vitarkabadhane pratipakshabhavanam” è l’indicazione che Patanjali dà negli Yoga Sutra (II, 33): “Quando si è turbati da pensieri nocivi si coltivino pensieri opposti”. Dobbiamo dunque averceli a disposizione velocemente questi “pensieri opposti” per evitare di essere travolti dalle vritti disturbanti. Se abbiamo coltivato con amorevole cura e costanza il nostro giardino della memoria, troveremo tanti bei fiori ad attenderci nel momento del bisogno.

- Accettazione
Arriverà per tutti il tempo in cui dovremo restituire ciò che abbiamo ricevuto: perderemo i denti, i capelli e anche i neuroni. Conquistiamo “la vita che vorrei” se impariamo ad accettare questo inevitabile epilogo, la curva della parabola che si piega come un albero carico di frutti maturi. Questo corpo che indossiamo lo dovremo presto restituire. Se nel tragitto avremo maturato questa consapevolezza, e al posto dell’attaccamento sarà sbocciato in noi un senso di gratitudine, avremo davvero realizzato “la vita che vorrei”. Possiamo allenarci fin d’ora per traguardare vincenti l’ultima soglia. Ogni giorno la vita ci mette di fronte ai nostri limiti: conflitti, parole aspre, inganni, sbagli, incomprensioni… Quando ciò accade, e ci rendiamo conto che c’è un nostro limite dietro una situazione spiacevole, lavoriamo subito per correggerlo invece che raccontarci la favola che la colpa è degli altri. Impariamo ad accettare di avere dei limiti a tutti i livelli – fisico, mentale e spirituale. Questo esercizio quotidiano, oltre a sviluppare l’umiltà (che è prerequisito di tutte le virtù), ci libera dall’attaccamento a quella “carcassa” che è la nostra fisicità incarnata e ci apre, fin da subito, all’esperienza dell’eternità.


ARTICOLO DI MARCO FERRINI PUBBLICATO SULLA RIVISTA VIVERE LO YOGA n° 87,  GIUGNO-LUGLIO 2019

Lascia un commento e condividi subito il link con i tuoi amici in modo che l’energia delle parole del maestro possa arrivare a quante più persone possibili!

INFORMAZIONI DI CONTATTO

  • (+39) 0587 733730

  • (+39) 320 3264838

  • Via Manzoni 9A, Ponsacco (PI)
Copyright © Centro Studi Bhaktivedanta, tutti i diritti sono riservati. P.IVA 01636650507 C.F. 90021780508