Fondamenta per una civiltà migliore - Dalla parte della Giustizia
Ius e Yuj
La parola italiana Giustizia deriva dal latino ius (di analogo significato). La parola Yoga deriva invece dalla radice sanscrita yuj (“connettere, unire”). Potrebbe essere una sorpresa per molti di voi scoprire che il latino ius derivi dal sanscrito yuj; scoprire quindi che funzione essenziale della Giustizia è ristabilire la connessione dell’individuo con gli altri, con l’ambiente circostante e con se stesso. Scopi ben presenti alla scienza dello Yoga.
Nella Bhagavad-gītā, lo Yoga è definito essere “Equanimità”. E quale altro termine potrebbe meglio descrivere il principio della Giustizia, simboleggiata dalla bilancia?
Iuris - Prudentia
La bilancia ci introduce a un altro aspetto: quello dell’accuratezza, della verifica, del Discernimento, della Prudenza. Tutto ciò può essere sintetizzato nel termine sanscrito viveka.
Nel nostro agire, dovremmo sempre prendere in considerazione questi aspetti. Prima di proferire qualsivoglia parola, per esempio, dovremmo accuratamente valutare le motivazioni e le emozioni che sospingono il nostro parlare, così come gli effetti che questo potrebbe produrre sugli altri, e le correlate conseguenze.
L’Equanimità, dunque, si sposa col Discernimento; così come la Giustizia deve sempre essere unita alla Prudenza: Iuris-Prudentia. Persino nella vita di tutti i giorni (che dire dei tribunali), chi si esprime o agisce ignorando o trascurando questi principi non può che conoscere conflittualità, frustrazione e fallimento.
Equanimità (sama)
L’Equanimità (in sanscrito sama) è l’essenza stessa della Giustizia. Nella Bhagavad-gītā (18.54), sama è descritto come suprema virtù, capace di riconnettere l’individuo all’Assoluto. Torna quindi il concetto di una Giustizia che trascende non solo i limiti dell’umano, ma persino quelli dell’universale, favorendo il ripristinarsi dell’eterna relazione che ci unisce al Divino.
Equanimità non è uguaglianza, perché le persone sono diverse l’una dall’altra per tendenze ed esperienze (in sanscrito, guṇa e karma). Spiritualmente siamo tutti uguali, ma come esseri umani incarnati differiamo per condizioni di vita, carattere, comportamento, ecc. Ecco che il principio del Discernimento (viveka) si scopre essere indispensabile nella pratica dell’Equanimità, poiché tutti i parametri debbono essere accuratamente considerati per poter esprimere una valutazione corretta.
La faziosità è quanto di più lontano possa esserci rispetto alla Giustizia-Equanimità. Ogni preferenza dovrebbe essere motivata puramente, prescindendo da favoritismi o interessi egoici. Se si vuole essere dalla parte della Giustizia, bisogna trarsi fuori dal gioco delle parti. Come sempre, dunque, l’ego, fazioso per natura, è il primo nemico di ogni Virtù.
La bilancia e la spada
La pratica della Giustizia è un’arte complessa e sofisticata, perché deve saper premiare o meno a seconda di reali comportamenti e circostanze, senza assolvere o condannare indiscriminatamente. Vi è, infatti, un secondo simbolo della Giustizia, che fino ad ora vi ho sottaciuto: la spada. Entrambe, spada e bilancia, sono fondamentali nella pratica di questa Virtù.
La spada indica la Forza; ma la Forza applicata senza Discernimento corrisponde alla barbarie. Emblematicamente, il sovrano (oggi diremmo lo Stato) è il detentore della Forza; ugualmente dovrebbe esserlo della Giustizia. Prima di far valere il proprio potere, ciascuno (governante, insegnante, genitore, ecc.) dovrebbe valutare accuratamente, e ascoltare le istanze e le proposte della controparte.
Diritto inalienabile dell’essere umano è quello di poter svolgere il proprio dovere sociale e individuale, perché solo così egli realizza se stesso e accede alla sua intrinseca natura divina. L’autorità, dunque, non dovrebbe mai ostacolare questo processo con l’imposizione di leggi inique. Che dire quando tali leggi istigano a comportamenti ingiusti e malvagi. Lo abbiamo visto recentemente nel nostro paese, dove nel 1938 vennero varate le leggi razziali che obbligavano a denunciare la presenza degli ebrei per deportarli nei campi di concentramento nazisti.
Legge e Giustizia
La Giustizia ha un respiro divino e una dimensione cosmica e, secondo questa prospettiva, corrisponde al termine sanscrito dharma (ordine cosmo-etico). La legge, d’altro canto, appartiene alla dimensione umana e, idealmente, dovrebbe essere una trasposizione -nel tempo, nel luogo e nelle circostanze della realtà storica- delle supreme disposizioni universali. Da una parte, dunque, ci riferiamo a ciò che è sacro e distinto dal quotidiano; dall’altra a ciò che è profano, esterno al recinto del tempio, mondano. Due dimensioni proprie della vita umana, di cui dovremmo sempre tenere conto.
È solo nella Giustizia che la nostra essenza spirituale e divina trova piena soddisfazione, in quanto l’amministrazione inevitabilmente imperfetta delle cose del mondo non corrisponde alle esigenze dell’anima. Tale amministrazione, tuttavia, è altamente meritoria, in quanto funzionale al mantenimento delle migliori condizioni affinché l’essere umano possa evolvere alla sua superiore consapevolezza.
Come praticare nel mondo la Virtù divina della Giustizia? Riscoprendo i principi fondanti della vita umana e aderendo ad essi con un chiaro e determinato atto di volontà.
La tradizione indo-vedica afferma che dovere primario dell’essere umano è emanciparsi da tutte le tendenze proprie della vita vegetale e animale: dall’apatia alla rapacità. Tale caratteristica della natura umana è così radicata che, prescindendo da questo impegno evolutivo, la persona necessariamente sprofonda in una crescente ansietà, fino all’angoscia e allo smarrimento di sé.
Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza: questo è il ruolo che all’essere umano è assegnato e voltargli le spalle significa danneggiare il proprio equilibrio psichico e fisiologico. L’inganno, la degradazione, la sopraffazione, non sono attitudini idonee alla nostra felicità. Solo l’adesione a principi quali l’Onestà, l’Equanimità, la Veridicità, corrisponde alle esigenze di salute mentale e permette lo stabilizzarsi di un materiale (quello, appunto, mentale) altrimenti estremamente inaffidabile.
La Giustizia, dunque, non è qualcosa da relegare nei libri o nelle belle parole dei saggi, ma da far penetrare in ogni fibra della nostra personalità affinché possa sostenerci di fronte a tutte le prove della vita, e destinarci, inevitabilmente, al successo: quello vero, quello evolutivo.
E, infine, l’Onestà
Anche il termine Onestà rimanda a principi valoriali universali. Etimologicamente, deriva dal latino honos-honoris (“onore”), per cui è implicito il riferimento a un codice superiore rispetto al quale commisurare il comportamento individuale. In tal senso è molto vicino al termine sanscrito ārya (da cui “ariano”), che si attaglia a una persona degna di fede e rispettabile, in quanto aderente agli eterni principi della Giustizia divina (il dharma). Onestà è dunque aderire al dharma e svolgere, all’interno di questo perfetto sistema che tutto regola e sostiene, il proprio ruolo e il proprio dovere (sva-dharma).
Onestà attiene alla coerenza, all’aderire ai propri doveri in ogni circostanza. Le prove della vita testano ripetutamente la nostra tenuta, il nostro rinnovato desiderio di comportarci secondo i più alti modelli di riferimento, seppur nei limiti della nostra personalità. Onestà non è perfezione nel comportamento ma coerente aspirazione a tale sovraumano ideale. Onestà di desiderio, di pensiero, di emozione, di parola, di azione.
Non è possibile aggirare questa intima chiamata alla rettitudine, perché la legge che governa l’universo intero, governa anche la nostra psiche, e il venir meno alle nostre responsabilità significa, prima di ogni altra cosa, danneggiare noi stessi, il nostro equilibrio, la nostra serenità, la nostra soddisfazione.
Essere dalla parte della Giustizia significa essere dalla parte di noi stessi, dalla parte degli altri, dalla parte del benessere e della prosperità.
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