Teoria e prassi per una vita di successo - Overture
La vita è un viaggio… o un naufragio.
La differenza tra queste due esperienze risiede nell’accompagnarsi, o meno, a chi è consapevole del destino ultimo dell’essere umano. L’escatologia -branca del sapere che riflette su tali argomenti- pare abbia perso qualsiasi ruolo nella così detta “cultura” contemporanea. L’orizzonte escatologico dell’essere umano è di natura spirituale, perché tale è la sua essenza. L’individuo è intrinsecamente superiore alla sua stessa umanità in quanto divinamente spirituale. Possediamo un corpo, ma non siamo il nostro possesso; siamo piuttosto costituiti di eternità, consapevolezza e felicità illimitata, tuttavia dimentichi delle nostre inalienabili ricchezze.
Scopo della vita umana è sviluppare un maturo discernimento tra il campo (il corpo che abitiamo) e il conoscitore del campo (colui che abita e dispone del corpo: l’essere vivente). Non si tratta di una mera conoscenza teorica, ma di una “cinestetica” realizzazione delle nostre qualità superiori e imperiture.
Quel che non è visibile né udibile, e che raramente appare alla coscienza degli umani, è ciò che di più prezioso è a loro riservato. Per cogliere questo mondo sublime bisogna impegnarsi in pratiche che acuiscano la nostra intorbidita sensibilità. Il mezzo che proponiamo -e che è infallibile- è la pratica delle Virtù universali, da sempre coltivate in tutte le autentiche tradizioni filosofiche e religiose. La Virtù è il solo mezzo fornito all’umanità per trascendere i suoi limiti, che tanto pesano su ciascuno di noi. Attraverso l’attualizzazione nella quotidianità di uno stile di vita improntato all’idealità, realizziamo tutte le potenzialità umane per accedere infine alla consapevolezza superiore. Dovremmo dismettere la concezione corporea dell’esistenza e aprirci alla fluidità delle relazioni sottili, che travalicano ogni rigido confine tra noi e l’altro, e dissipano solitudine e malinconia. La nostra dimensione originaria, alla quale siamo irresistibilmente chiamati, è libera da ogni sofferenza e angustia, e nulla potrà convincerci a rinunciarvi.
Attraverso l’esperienza dell’incarnazione possiamo predisporci alla dimensione dello Spirito, avanzando gioiosamente verso la meta. La componente umana è transeunte e caratterizzata da nascita e morte, ma secondo gli insegnamenti della Bhagavad-gītā e di tutta la civiltà dello Yoga queste tappe non sono che passi lungo il cammino che ci riconduce alla pienezza. Non c’è conflitto tra corpo e anima, tra materia e spirito. Entrambe queste energie sono orientate a un unico scopo: la ricongiunzione della scintilla divina con la sua Sorgente. Il sobrio distacco dalle allettanti attrazioni mondane ci permette di riconoscere il progetto unitario che struttura l’Universo. Affinché ciò sia possibile, occorre essere ben centrati nella realtà e nella meta, che coincidono con la dimensione dello Spirito.
Oggigiorno pare essersi affermata a livello globale una mentalità caratterizzata da superficialità e frettolosità. Nel corso degli ultimi decenni si è prodotto un progressivo e consistente impoverimento delle facoltà umane. Il dilagante consumo di droghe, il continuo richiamo alla sfera sessuale, la promozione di un intrattenimento privo di ogni contenuto significativo, hanno rappresentato potenti leve atte a scardinare i presupposti etici per una vita evolutiva. La crisi che stiamo attraversando ha dunque radici profonde e non dovremmo pensare a facili soluzioni. Nostro primo impegno dovrebbe essere ripristinare il più alto livello di discernimento e rilanciare così il valore della conoscenza metafisica quale fondamento per un Nuovo Umanesimo Spirituale che valorizzi le risorse e le potenzialità di ciascuno. Infatti, solo lo sviluppo di una superiore visione del mondo può dare il via a un linguaggio e un comportamento rinnovati che conducano la società oltre i mali che la affliggono, drammaticamente sospesa sul baratro del nichilismo.
Il primo passo per occuparsi del mondo è risvegliarsi alla consapevolezza spirituale. La filosofia Sāṅkhya spiega che non esiste reale differenza tra pensiero e mondo: si tratta, piuttosto, di due stati -sottile e grossolano- di un’unica sostanza (la prakṛti). Finché saremo condizionati dalle identificazioni con le maschere egoiche, non potremo apportare un reale beneficio, in quanto l’azione estrovertita rifletterà la confusione interiore. Schopenhauer concepiva il mondo come volontà e rappresentazione, prodotto del pensiero e delle emozioni. Bonificando i nostri contenuti psichici, inneschiamo l’unica autentica rivoluzione ecologica. Altrimenti, intervenire ortogonalmente sulla dimensione grossolana, significherebbe pretendere di guarire il sintomo senza curare la malattia. Non dovremmo dubitare del fatto che tale bonifica costituisca il fondamento per qualsiasi costruttiva e durevole trasformazione esteriore.
La filosofia dovrebbe offrire mezzi concreti per il miglioramento della vita umana, promuovendo una prassi che dia corpo alla mera speculazione e che ne confermi il valore. Nella tradizione indo-vedica, Sāṅkhya e Yoga rappresentano i due poli -teorico e pratico- di un sistema coerente che ha dimostrato la sua efficacia nel corso dei millenni. Il principio della coerenza travalica i limiti categoriali di Oriente e Occidente, e ci sprona a una riflessione aperta, libera da qualsiasi pretestuosa contrapposizione. È solo in forza di tale coerenza che possiamo aspirare a raggiungere la dimensione della nostra idealità: il platonico Iperuranio o l’indo-vedico Vaikuṇṭha. Per raggiungere una meta, non basta una mappa. Ci vogliono mezzi e impegno personale. Questa meta non è una realtà a noi esterna ma un logos della coscienza che travalica i limiti di tempo, spazio e causalità; un regno che dimora nel cuore di tutte le creature e che può essere conquistato in forza del comportamento di ciascuno; un bene che possiamo condividere con gli altri, ma al quale ha accesso solo chi si rende responsabile delle proprie scelte: pace in terra agli uomini di buona volontà.
Il distacco da psiche e materia grossolana dà accesso alla consapevolezza del sé spirituale e alla comprensione della reale natura e funzione del pensiero e del mondo. L’errore di molti è stato confondere il mezzo con il fine; scambiare il fiume con il mare, volendo far rientrare lo Spirito (il mare) nella materia (il fiume). Si è posta l’idealità al servizio della mondanità, il divino al servizio dell’umano. Abbiamo preso rifugio in soldati fallibili, incapaci di garantirci la sicurezza che falsamente promettono. In cambio di questa presunta sicurezza abbiamo rinunciato a quote sempre più consistenti di libertà e dignità. Abbiamo voluto dare un prezzo a beni “non negoziabili”, a valori assoluti che non possono essere posti sotto la prospettiva della convenienza, profanando così quanto c’è di sacro. In sanscrito, la parola bhaga indica “valore, ricchezza”; Bhaga-van è Dio, sorgente e detentore di ogni valore. Praticare le virtù e sviluppare la conoscenza significa rinnovare la nostra eterna relazione d’amore con lui, in cui vediamo soddisfatte tutte le aspirazioni di sicurezza e felicità. Prigionieri dell’illusione del tempo e dello spazio, noi anime eterne sperimentiamo la paura della vecchiaia, della malattia e della morte.
Parlare di Dio e testimoniare la funzione pratica delle virtù è azione rivoluzionaria. Il linguaggio veritiero ci sottrae all’egemonia culturale dominante e il retto comportamento è prova tangibile della possibilità di vivere per realizzarsi spiritualmente. La crisi può essere ancora superata, a patto di contemplarla da un punto di vista superiore a quello che l’ha ingenerata. Urge mettere mano a una decisiva rivoluzione antropologica che promuova un’umanità migliore, consapevole e fiera delle proprie qualità superiori. È una prospettiva, questa, che non divide laici da religiosi, perché una vita nobile è fonte per tutti di autentico benessere. Nessuna imposizione o forzatura, ma solo un’accorata offerta di un modello esemplare. Questo è ciò di cui c’è maggiormente bisogno: un modello di successo che incoraggi le persone a rinunciare alle proprie illusioni. Dobbiamo anche offrire strumenti di conoscenza, lasciando alle persone piena libertà di accogliere o rigettare, di agire o rinunciare.
Virtù è felicità: non una mera attitudine dettata dalla convenienza sociale, ma il ripristino della nostra autentica natura. La sofferenza è frutto dell’ignoranza e del cattivo comportamento, e l’unico rimedio sono conoscenza e virtù. Quando parlo di ignoranza non mi riferisco a un deficit culturale ma alla dimenticanza della nostra consapevolezza spirituale; e quando parlo di conoscenza intendo quella che ci permette di riconnetterci a tale consapevolezza. La felicità può essere sperimentata anche in questo mondo, se impariamo a relazionarci ad esso in una prospettiva evolutiva, quale scenario su cui praticare le nostre qualità spirituali nel rispetto delle stringenti leggi che lo regolano.
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